Il “farmaco” di Violetta – Curiosando nello spartito de La Traviata
Cari amici del Blog,
eccoci a riprendere il filo di questo infinito discorso sugli aspetti più curiosi dei repertori musicali.
Stavolta, vorrei fermarmi a osservare un piccolo passaggio nello spartito de La Traviata, per gustare insieme il valore nascosto di certe parole del libretto.
Un valore che si rivela grazie alla raffinatezza del linguaggio verdiano. La sua musica, infatti, proietta un fascio di luce sugli, gli aspetti più segreti del testo e offre profondità alla poesia, secondo l’antichissima alchimia del “canto lirico”.
Spartito de La Traviata, ed. Ricordi (riduzione per canto e pianoforte), 1883 ca. Tratto da IMSLP
Qui siamo alle primissime battute dell’opera.
Impazza la festa in casa di Violetta, il dialogo è serrato, sostenuto dal ritmo binario di polka che introduce e permea l’intera scena.
Una tale frenesia appartiene certo all’ebrezza del démi-monde rappresentato, ma anche alla condizione interiore di Violetta, alla sua vita “malata”. Non a caso, secondo la medicina dell’Ottocento, uno dei sintomi tipici della tisi era l’attività febbrile, l’irrequietezza.
Molto facile che, nella concitazione del momento, questo breve dialogo di Violetta con Flora e il Marchese passi inosservato allo spettatore.
Ma, come dice il proverbio, la verità (o il diavolo, o dio) si nasconde nei particolari. E, in questa cura dei dettagli Verdi è maestro.
Vediamo più da vicino le poche battute che abbiamo scelto.
Marie Duplessis, vera « Dame aux Camélias », in un acquerello di Camille Roqueplan (1845)
Suona una certa indelicatezza nella domanda, del Marchese e di Flora, “E goder voi potrete?”, rivolta a una Violetta appena rimessasi da un lungo periodo di infermità. Senza contare, poi, il sottinteso sessuale del verbo “godere”, usato con evidente riferimento al suo ruolo di mantenue. Probabilmente Piave (e Verdi) lo impiegano proprio come presentazione della pacchianeria di Flora e, al contempo, come allusione alla “carriera” di Violetta.
La risposta di Violetta sembra mostrare un certo orgoglio: “Lo voglio” (pag.6). Un atto di coraggio e lotta contro il destino e la tisi.
Ma la musica di Verdi viene subito a contraddire tanta forza. “Lo voglio” è cantato con moto discendente, rivelando la nascosta esitazione della protagonista. Un segno tangibile di come sia “impropria” la vita che conduce. Ma non “impropria” socialmente. No, inadeguata al suo vero sentire che, infatti, di lì a poco, le sarà rivelato dalla dedizione assoluta di Alfredo, dal sorgere di “quell’amor ch’è l’anima / dell’universo intero” (Atto I, scena 3).
Un “vero sentire” che affonda le radici nella innocente infanzia, quando “…un candido / e trepido desire / questi effigiò dolcissimo / signor dell’avvenire” (Atto I, scena 5).
Inoltre, l’espressione “lo voglio” sembra preannunciare il verbo usato nella cabaletta a fine atto: Sempre libera degg’io” (scena 5). Due momenti della stessa imposizione a se stessa.
Maria Spezia Aldigheri, il soprano che portò al pieno successo il ruolo di Violetta. Dagherrotipo d’epoca, di autore anonimo.
Proseguendo nella lettura del passo che abbiamo scelto, vediamo ulteriormente discendere la melodia nella evocazione del “piacere” (pag. 7): ancora una sapiente contraddizione fra testo e musica che rivela ciò che le parole vorrebbero nascondere. L’impennata che segue (“ed io soglio con tal farmaco”) tocca il La4 e suona come nuova, accorata rivelazione della natura di tale “piacere”: un atto della volontà e non del desiderio.Non una beatitudine, un’estasi o un godimento, ma un “farmaco” palliativo: l’unico suo effetto è quello di alleviare il dolore (“i mali sopir”). Ma i mali non sono solo quelli della tisi. Sono anche i mali dell’anima, obbligatoriamente celati nella vita di una intrattenitrice.
E il vero antidoto guaritore deve ancora entrare in gioco: Alfredo è lì, silenzioso e adorante accanto a Gastone.
Consideriamo, poi, l’uso delle note “staccate” per questa frase. L’accentuazione di ogni sillaba vorrebbe risultare affermativa e risoluta, ma la melodia e il testo ci rivelano, invece, ombre ancora inammissibili per Violetta. Anche la piccola pausa di croma che spezza la parola “soglio” è segno di sofferenza. Un fiato che manca per corto respiro di tisica, ma anche per l’incertezza che attraversa un’artefatta verità.
L’orchestra segue fedelmente il canto e lo raddoppia, sottolineando l’importanza di questa prima “presentazione” che Violetta fa di se stessa, delle sue maschere ed esitazioni, della sua fragilità volitiva.
Manifesto per la “prima” de La Traviata – Venezia, Teatro La Fenice, 6.3.1853
Che dire di fronte a tanta raffinatezza lirica?
Rimane sempre vero che, nelle grandi opere d’arte, la verità (o meglio, le molte verità) si rivelano proprio nei particolari. La loro somma costituisce quel terreno di inesauribile fertilità in cui si nutre il nostro godimento di appassionati musicofili.
Un caro saluto amici, per ritrovarci al più presto.
Carlo Boschi
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